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Mons. Vittorio Moietta: «Un faro alto 46 anni»

Sono trascorsi 46 anni da quel memorabile 25 aprile 1961, quando, sotto una pioggia battente anche di petali di fiori, il giovane Vescovo - a bordo di un’automobile scoperta - fece l’ingresso nella sua nuova Diocesi.

È un tripudio. La Cattedrale è stracolma. Improvvisamente si sente la sua voce: «Ve la dò la mia vita. Non vi chiedo nulla. Sono venuto per dare e per portare in silenzio. La nostra sarà una diocesi missionaria». Sono solo le prime battute, ma già lascia intendere la sua ardente inquietudine.

Appena vede un gruppo di persone, con le braccia tese e festosamente salutanti si presenta: «sono il vostro Vescovo, sono venuto a trovarvi perché vi voglio bene». La voce si sparge velocemente e il popolo si riversa per le strade attorno al suo Pastore. «Nessuno resiste quando si prende dalla parte del cuore. Non vengo a cercare onori e gloria – ribatte il Vescovo – vengo a cercare i vostri cuori e null’altro voglio se non salvare le vostre anime».

BREVI CENNI BIOGRAFICI:

- nasce a Brusasco (diocesi di Casale Monferrato) il 7 aprile 1913;

- è ordinato sacerdote il 27 giugno 1937;

- il 25 gennaio è eletto Vescovo di Nicastro e consacrato nella Cattedrale di Sant’Evasio da Mons. Giuseppe Angrisani;

- nel periodo tra luglio e settembre del 1962 accusa i primi sintomi del terribile male che lo porterà alla morte il 1° aprile 1963 dopo soli 23 mesi e 7 giorni di permanenza in diocesi.

NEL RICORDO DI DON CARLO GRATTAROLA (SUO SEGRETARIO PARTICOLARE):

«L’invito, rivoltomi, di ricordare Mons. Moietta mi è giunto graditissimo perché le persone care e determinanti della nostra vita sono sempre presenti alla nostra coscienza e parlare di loro è un piacere ed alle volte anche un’esigenza. Questa è anche l’occasione per ravvivare ricordi ed emozioni che sono come un balsamo per il cuore. Tento di condensare in poche battute la forte personalità, la profonda spiritualità ed il singolare carisma di questo Pastore che constato - con ammirata compiacenza - resta vivo nel tessuto della Vostra Chiesa.

PROFILO DI UN SANTO:

La sua, fu certamente una personalità forte che s’imponeva pur senza mai trascendere o soggiogare. Era sicuro delle scelte che operava perché maturate nella profonda riflessione della Parola di Dio. La sua, poi, era una personalità che sapeva dare fiducia alle persone. La dette ai giovani preti che riunì nel Gruppo Sacerdotale Missionario. Alcuni parroci, molto stimati e influenti non approvarono questa iniziativa e glielo dissero senza mezze misure, ricredendosi, però, prontamente, appena videro il modo con cui agivano. La stessa fiducia la diede alle signorine del Gruppo Missionario Femminile con il mandato di andare là dove non erano presenti altre persone consacrate. Un’altra caratteristica, fu la sua profonda spiritualità maturata nel cammino esigente del seminario; forgiata a contatto con i minatori delle cave a Rolasco; stimolata e irrobustita dal compito di guida spirituale di tanti sacerdoti e laici; ravvivata dalla pienezza dell’ordine sacro. Una spiritualità che lo spinse a compiere scelte rischiose e non del tutto condivise. Il suo legame con il Signore lo rendeva portatore della Parola di Dio che scendeva nelle menti illuminandole e nei cuori, riscaldandoli. Sentiva l’urgenza di portare la salvezza a tutti. L’ansia dei lontani era uno dei suoi ritornelli. Per questo costituì i due gruppi missionari maschile e femminile con il fine precipuo dei “lontani”. Oggi si direbbe “fare una nuova evangelizzazione”. Aprì la casa delle Missionarie, per offrire alle prostitute un ambiente familiare ed un’occasione di lavoro dignitoso. «Parla che ‘ncante» sbottò un prete ad un suo corso di esercizi a Catanzaro. La gente percepiva, nella sua persona, la presenza di Dio. Per questo motivo accorreva al suo passaggio, assiepava le chiese per ascoltarlo, si stringeva a lui per baciargli la mano. Se chi l’ha conosciuto, o ne ha sentito parlare anche a distanza di tanti anni dalla morte, si commuove e guarda a Lui come ad un punto di riferimento sicuro per la sua vita, è perché in lui il Signore era presente in modo del tutto straordinario. Vorrei riassumere il grado della sua santità in queste poche frasi che proferì nel momento più critico della sua vita: la durissima malattia: “Corre per Cristo chi sa fermarsi quando Cristo lo ferma”. “Sarà secondo la volontà di Dio chiedere il miracolo della guarigione”? “La morte di Cristo è la mia unica speranza”.

IL SUO CARISMA:

Può sembrare una frase ad effetto o semplicemente celebrativa, affermare che ha precorso il Concilio Vaticano II a cui ha potuto partecipare solamente per pochi giorni, eppure, è la verità. La stessa cosa è stata detta di altri e non può che essere così perché i grandi cambiamenti nella Chiesa, normalmente, avvengono grazie alla vitalità che il Signore immette nelle persone della sua Chiesa. Il Concilio non è un fungo spuntato improvvisamente e spontaneamente, è un albero con radici lontane. Il senso di Chiesa come comunione di persone riunite dallo Spirito di Cristo è un concetto che è stato molto presente nelle parole e nelle decisioni di Mons. Moietta. Per le due aggregazioni missionarie sacerdotale e femminile, che ha iniziato, non a caso ha scelto il nome “Gruppo”. Chiesa missionaria non attendista e non trionfalista, sono altri concetti basilari del Concilio, che erano da lui vissuti con gran convinzione. Della dignità vescovile non ne fece mai un vantaggio personale o per i suoi famigliari, perché il principio che lo sorreggeva era quello del servizio, un servizio che andava reso con generosità e coraggio specie ai più poveri. Non vi pare di sentire riecheggiare in questo le ripetute espressioni di tono conciliare “la chiesa deve fare la scelta preferenziale dei poveri”? Per questo motivo: • visitò “gli ultimi” nelle loro case dei quartieri più squallidi della città e delle borgate; • si impegnò per promuovere nuove attività produttive; • andò a trovare gli emigranti nei loro posti di lavoro e li accoglieva con grande paternità al loro rientro in famiglia nei mesi invernali promuovendo per loro incontri formativi e preparandoli al Sacramento della Cresima se ancora non lo avevano ricevuto. Per dirvi la forza trascinatrice del suo carisma vi basti questo esempio: «nel 1962 non si parlava, nelle diocesi, di piani pastorali, né annuali né pluriennali. Appena giunto in Diocesi percepì che mancava l’impianto stabile del catechismo ai fanciulli e che scarsa era la loro presenza alla messa festiva. Convocò i parroci per una “due giorni” in cui chiamò degli esperti di catechesi e di liturgia perché presentassero un metodo semplice, fattibile e dignitoso per svolgere il catechismo in parrocchia e programmare una celebrazione della santa messa per i fanciulli. Ebbe la piena rispondenza dei parroci a cui promise di andare di persona a verificare con una specie di esame, i risultati raggiunti nell’apprendimento del catechismo da parte dei fanciulli. I parroci furono lietissimi di poter presentare al Vescovo i loro fanciulli catechizzati e dovette sobbarcarsi spostamenti incessanti per soddisfare tutte le richieste. L’incontro con il Vescovo da parte della popolazione e dei preti era un motivo di grande festa. Una sera mentre si stava cenando suonò il campanello della porta. L’ora per una visita sembrava indiscreta. “Chi ci sarà mai?”. Andai ad aprire. Era un parroco della montagna. “Sono di passaggio da Nicastro. So che è tardi disse, scusandosi, ma come potevo passare da Nicastro senza venire a dare un saluto al mio Vescovo?”. Il Cardinal Mimmi, responsabile della Congregazione dei Vescovi, gli aveva detto prima di fare l’ingresso in Diocesi: “Stia attento a non essere un generale senza ufficiali”. Gli ufficiali, nel linguaggio curiale, erano i sacerdoti. Avere cura dei suoi sacerdoti non fu solo un dovere che assolse con premurosa attenzione, ma era un fatto a lui estremamente congeniale perché conosceva la strada per giungere al loro cuore.

LE PAROLE PROFETICHE DEL PAPA BUONO:

“Stai vicino al tuo vescovo, mi raccomandò Giovanni XXIII, al termine dell’udienza che ebbi insieme a Mons. Moietta nel febbraio del 1961, frena il suo ardore perché possa durare a lungo”. Purtroppo né io ebbi l’ardire di moderare l’entusiasmo del giovane Vescovo, né soprattutto durò a lungo. Anzi, di due mesi precedette nella morte Papa Giovanni il quale, profeticamente, comprese appieno la tempra di Mons. Moietta. “Ricordatevi dei vostri capi - dice la lettera agli Ebrei - i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!” (Ebrei 13,7-9). Parlare di Mons. Moietta non è accademia né pura e semplice celebrazione. È fare memoria per ciò che ha vissuto. La santità che lo ha bruciato, passi, almeno un pò, anche in noi!».

LA STELLA RISPLENDE ANCORA NEL CIELO DELLA SUA GENTE:

Questa era la concezione che Mons. Moietta aveva dell’Episcopato e della Chiesa: una concezione ardente, operante, conquistatrice, missionaria, irrequieta. Diceva: «odio l’ordinaria amministrazione, come svuotamento dello spirito e mancanza di passione e convinzione. Il Vescovo, per me, deve essere un motore che trascina, travolge, segna la strada ed il ritmo». «Non invecchierò» disse profeticamente di sé e come il profeta Elia ha lasciato cadere il suo mantello su di noi a protezione e a suscitare discepoli che ne continuino l’opera di fuoco.

Buona Settimana a tutti.

FULVIO FAZZARI

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